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Italiani, dalla fiducia del dopoguerra alla paura di oggi

Il libro di Aldo Cazzullo "Giuro che non avrò più fame. L'Italia della ricostruzione" racconta un'epoca di povertà ma ricca di energia

Italiani, dalla fiducia del dopoguerra alla paura di oggi

redazione Modifica articolo

21 Ottobre 2018 - 09.51


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“Giuro che non avrò più fame. L’Italia della ricostruzione” si intitola il libro di Aldo Cazzullo (Mondadori, pp 254, euro 18) che racconta della nostra penisola dopo l’ultima guerra mondiale fino alle soglie del boom economico. Parla di anni di miseria, che quasi tutti i nostri genitori o nonni hanno conosciuto, quando la carne non era un cibo da graduare e magari da evitare quanto un sogno irrealizzabile per molti giorni se non per tutti i giorni della settimana e quando era in tavola era un simbolo di salute e benessere. Era un’Italia povera ma, la descrive il giornalista, che non intende affatto inneggiare a un ritorno a quegli anni, alla povertà, tuttavia ricorda un Paese che guardava al futuro con speranza e ottimismo, con fiducia soprattutto, senza il rancore che attanaglia oggi i più. Come ha constatato Massimo Gramellini sul Corriere della Sera, la testata per la quale l’autore del libro nato ad Alba nel 1966 è inviato ed editorialista, recensendo il libro: “La felicità che si respira negli anni della Ricostruzione emana dalla sensazione di passare dal meno al più che solo la fine di una guerra e l’uscita progressiva dalla miseria possono dare. Le percezioni condizionate dall’ambiente stravolgono sempre la realtà dei fatti: allora si stava male, ma ogni giorno ci si svegliava convinti di stare un po’ meglio. Adesso si sta ancora mediamente bene, eppure si è terrorizzati dalla paura di vedersi portare via il poco o il tanto che resta”.
La scelta del titolo, ha spiegato il giornalista, viene dal film del dopoguerra “Via col vento”. Rossella O’Hara torna alla casa distrutta, non mangia da giorni, trova una piantina, la rosicchia e urla al cielo “Giuro che non avrò più fame”. Oggi, scrive Cazzullo, “non siamo più felici di allora”. Anzi. E il rancore – aggiungiamo – si rovescia sugli ultimi arrivati. Poveri come erano poveri gli italiani che emigravano nel passato e quindi, per tanti, con una colpa imperdonabile in partenza: la povertà, magari come aggravante al colore della pelle o alla provenienza da terre lontane.

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