Sarebbe bello se a Sanremo si parlasse anche di Zaky e del martirio delle donne

E infine ci vorrebbe che qualcuno, tra quelli che prendono fior di quattrini per fare il festival, ricordasse a tutti, noi e loro, che ci sono artisti che se la passano davvero male


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2 Marzo 2021 - 17.44


Una cosa è la leggerezza, altra cosa è l’allegrezza, specie se teorizzata come antidoto ideologico anti Covid. Che Sanremo ci sollazzi è un auspicio: questo ci aspettiamo da un festival che da sempre fa divertire milioni d’italiani; questa volta però lo faccia senza scadere in una sorta di corte dei miracoli del sorriso forzato.

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Questo no, evitacelo.
Cioè, Sanremo faccia Sanremo: musica, canzonette, ricchi premi e cotillon. Non ci costringa a esser per forza a rallegrarci, non  spetta a noi il compito di compiacere gli esperti conduttori, aumentare l’audience e ingraziarci i munifici sponsor.

Lo fanno già in tanti. Gli organizzatori usino quella leggerezza suggerita da Calvino nelle sue “Lezioni americane”: lo scrittore (il conduttore) deve conoscere il mondo in profondità e deve saper come trattare e come prenderne le distanze dalla sua superficie di pietra. 

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 E così che anche l’inevitabile pesantezza del vivere quotidiano può essere alleviata e non turbare, così,  gli animi che peraltro sono già oltremodo turbati. Essendo la Rai un servizio pubblico (è bene sempre ricordarlo in quest’andirivieni da “duopolio” perfetto) qualche tocco di sana pesantezza, affrontata con “savoir- faire”, non guasterebbe. 

Tanto per cominciare perché non chiedere, dal palco, come se fosse un coro degli angeli, la scarcerazione del giovane Zaky che lui il festival, dalle dure celle egiziane, non potrà vederlo né stasera né per almeno altri 45 giorni.

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Che gli venga dedicato “Libero”, il bel pezzo di Modugno. 

E poi non guasterebbe, dato che siamo alla vigilia dell’8 marzo, parlare del martirio al quale sono sottoposte le nostre donne. Lo farà qualche ospite, si spera. Ma sarebbe bello se, con leggerezza appunto, lo facesse l’intero festival.  

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E infine ci vorrebbe che qualcuno, tra quelli che prendono fior di quattrini per fare il festival, ricordasse a tutti, noi e loro, che ci sono artisti che se la passano davvero male poiché le cifre, le aride cifre, ci parlano di un settore, quello dei lavoratori dello spettacolo, che ha perso oltre 50 milioni di euro durante la dura pandemia. Perché aspettarsi tutto questo? Perché Sanremo è Sanremo.

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