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Il Dalai Lama: noi tibetani come i migranti, in esilio da 150mila anni

La Sicilia accoglie il Dalai Lama. Un tour per parlare di pace ed accoglienza, ma anche della gioia. Con la complicità di Tenzin Gyatso, leader spirituale del Tibet e Premio Nobel per la Pace

Il Dalai Lama: noi tibetani come i migranti, in esilio da 150mila anni

redazione Modifica articolo

17 Settembre 2017 - 18.36


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di  Delia Vaccarello

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Si può insegnare la gioia? Possiamo essere educati a provarla? Il Dalai Lama che ha iniziato un tour in Sicilia ne è convinto. E si può educare anche alla accoglienza: “E’ meraviglioso che la Sicilia da anni accolga chi fugge dalla guerra. Vi ringrazio – ha detto ieri a Taormina -. Noi Tibetani in esilio siamo 150 mila. Ai rifugiati bisogna dare aiuto per aiutarli poi a tornare a casa”. Sì gli esseri umani, che soffrono tutti, possono però darsi una mano e non solo distruggersi. Tema caldissimo quello dei migranti affrontato con la lectio magistralis “La pace e l’incontro tra i popoli”. Lunedì 18, invece, al teatro Massimo di Palermo alle 9.30, Tenzin Gyatso, leader spirituale del Tibet e Premio Nobel per la Pace, terrà la conferenza ”Educazione alla Gioia”. Incontro che trae ispirazione da “Il libro della gioia” (Garzanti) scritto da Douglas Abrams, ed è la narrazione di una settimana di dialoghi e scambi in India tra il Dalai Lama e Desmond Tutu.
Tenzin Gyatso torna a Palermo dopo oltre venti anni nella città che gli ha conferito la cittadinanza onoraria nel 1996. E non c’è dubbio, Palermo non è insensibile agli insegnamenti del buddismo. A Pizzo Sella, la montagna che domina il bellissimo golfo di Mondello, il Comune ha confiscato diverse ville alla mafia. Una di queste, grazie al progetto “Ponti sottili”, ospita le attività del centro MUNIGYANA che ha collaborato con il Comune per l’organizzazione dell’evento del Teatro Massimo.

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Qui ferve l’attesa per l’incontro. “Sono assolutamente emozionata , il Dalai lama è un essere speciale con il corpo umano, incontrarlo è un evento estremamente coinvolgente”, dice Daniela Geraci, in forza al Munigyana, mentre guardiamo dai locali del centro un panorama mozzafiato. E’ frequente che arrivino ospiti tibetani, esperti detti “geshe”, a diffondere gli insegnamenti. Al primo posto, vista l’urgenza di questo nostro tempo, è l’accoglienza. Se la vita è “sansara”, parola sanscrita che si riferisce alla “ciclicità di tutta l’esistenza”, c’è chi si trova nel cammino senza casa né lavoro. Dunque chi ha il privilegio della stabilità deve dare una mano.

Ma il dare è gioia? Uno dei pilastri dei dialoghi tra i due premi nobel, Tutu e Gyatso, è proprio la generosità. Ci sono generosità che vanno ben oltre i soldi. Donazioni della libertà dalla paura, di cui è capace chi sa dare consolazione. E donazioni spirituali che consistono nel condividere insegnamenti etici, nell’aiutare ad essere felici. Dio non conosce bene la matematica, scherzano i due negli scambi riportati nel libro, “quando dai dovresti sentirsi deprivato”, e invece “più dai più sembra che in te ci sia spazio per ricevere”.

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Ecco, in parole semplici, alcuni dei capisaldi del messaggio così controtendenza per buona parte della società occidentale di oggi. Non conta la ricchezza che hai, dicono i due premi Nobel, né lo status, conta ciò che ne fai. “Nel momento in cui diventi autoreferenziale, egocentrico, finisci per perdere la tua umanità”. Chiaro, in questi passaggi, il messaggio lanciato anche a Trump, e alla politica dei muri: è vero che gli americani sono leader e costruiscono libertà, ma allora devono spendere questa loro forza per aiutare tutti a uscire dalla sofferenza. Se lunedì al teatro Massimo si parlerà di gioia (https://www.dalailama.com/), intanto Palermo, dove sono sbarcati tanti giornalisti e troupe televisive, si prepara. Considerata la grande affluenza di pubblico, l’incontro si potrà seguire in streaming dal vicino cinema Rouge Et Noir. Nelle stesse sale oggi c’è stata una full immersion di proiezioni dedicate al buddismo. La gioia è possibile, questo il messaggio. Nonostante la sofferenza. E’ possibile se non cadiamo nella tentazione di flirtare con il dolore. Lo sanno bene i due premi Nobel che di atrocità non sono digiuni. Al termine de “Il libro della gioia”, insieme a una folla festosa, ballano. Sono ottantenni, entrano nel flusso della vita, l’arcivescovo ondeggia i gomiti e danza il boogie, il monaco tibetano infrange i voti e danza per la prima volta in vita sua. Che gioia.

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