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Franco Forte: "Romolo, barbaro nel codice genetico della Roma classica"

Parla l'autore, con Guido Anselmi, del romanzo "Romolo - il primo re": "Raccontiamo un mito plausibile nel contesto storico reale. Bellissimo il film di Rovere"

Franco Forte: "Romolo, barbaro nel codice genetico della Roma classica"

redazione Modifica articolo

9 Febbraio 2019 - 11.30


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Enzo Verrengia

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In Italia ci sono gli autori che semplicemente si esibiscono, vanno ai convegni e non saltano un festival, e poi che quelli che fanno il mestiere, cioè scrivono. Franco Forte è uno di loro, forse il più rappresentativo, perché oltre a pubblicare romanzi lavora professionalmente nel modo dell’editoria. Dirige le collane da edicola della Mondadori, che comprendono le storiche testate dei Gialli, di Urania e di Segretissimo. A queste, Forte ha aggiunto l’idea di “Sherlock”, un mensile dedicato al Gran Detective, che propone apocrifi degni di Conan Doyle.
Di suo, questo autore-autore firma da anni noir, spy-stories, thriller storici ed epopee biografiche, come dire biopic. Ha dedicato romanzi, fra gli altri, a Gengis Khan e a Cesare, rendendo quest’ultimo protagonista di un’ucronia in cui il suo assassinio è una “fake news”, con contorni complottisti che rimandano all’infinito caso Kennedy.
Oggi Forte, a quattro mani con Guido Anselmi, regala al suo numeroso e affezionatissimo pubblico una rivisitazione del mito fondativo della civiltà peninsulare, la figura di Romolo, Romolo – il primo re (Mondadori, pp. 360, € 19,00).

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Il romanzo è una sorta di “atto dovuto” per uno scrittore che frequenta la storia antica con la maestria di un affabulatore e la precisione dell’accademico, quanto al corredo informativo?

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Esatto, alla fine tutto parte da lì, almeno per ciò che riguarda la storia italica, e dunque occorreva mettere ordine e cercare di sbrogliare la matassa infinita, e altrettanto frammentata, dei documenti storici su quel periodo, così confusi e amalgamati con il mito da rendere quasi improbo, per gli storici, ricostruire in modo completo e attendibile quello che potrebbe essere successo. Un terreno magnifico per dei narratori, dove si può sguazzare tra realtà, leggenda, superstizione e interpretazioni suggestive tramandate da decine di punti di vista differenti. Noi abbiamo solo cercato di dare un senso a questa bellissima storia, sfruttando le potenzialità del mito per rendere tutto più suggestivo, ma senza mai abbandonare il terreno della coerenza e della plausibilità con il contesto storico, che abbiamo ricostruito minuziosamente.

Copertina a parte, il tuo Romolo evoca uno sfondo alla Howard. Quasi che nessuno, prima di te, si fosse accorto che l’Italia aveva il suo Conan nel codice genetico della Roma classica.

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Vero. Siamo nel 750 avanti Cristo, un periodo primitivo, oserei dire primordiale, non certo nella Roma splendente del Colosseo che abbiamo imparato ad ammirare nei film e nelle serie tv. A quell’epoca non c’era nulla, e la lotta per la sopravvivenza era al primo posto nelle priorità della gente. Logico, quindi, che i protagonisti della nostra storia dovessero essere calati in quel contesto barbarico, per quanto da tutto quel fango, quel sangue e quella violenza sia nata una delle più fiorenti civiltà della storia.

Parimenti, il romanzo ha una scansione molto ritmata, che evoca la possibilità di una serie televisiva. E, dato che ci siamo, vi hanno influenzato quelle in corso, a partire da “Game of Thrones”?

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Ormai le serie Tv e il cinema ci hanno insegnato ad apprezzare le storie rapide, che non indugiano troppo sui retroscena, sui particolari secondari, per far affondare subito il lettore (o lo spettatore) nelle trame della vicenda, insieme ai protagonisti. Una lezione importante, che ogni narratore d’oggi dovrebbe sempre seguire, e che noi abbiamo cercato di applicare nel modo migliore possibile, pur mantenendo la peculiarità della narrativa che, diversamente da cinema e tv, ha la possibilità di approfondire meglio tutti i punti, le situazioni, gli scenari e la sfera emotiva di una vicenda.

Malgrado i temi classicheggianti, tu scrivi con uno stile molto attualizzato, specialmente nei dialoghi. In parallelo, le descrizioni hanno la forza evocativa visuale del poema epico. È una combinazione nella quale ti ritrovi o solo una felice impressione di lettura?

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Credo sia una mia prerogativa, e mi fa piacere che questi elementi siano emersi anche in questo libro, il primo che pubblico non solo a mia firma ma a quattro mani con un altro autore, il che ha necessariamente significato raggiungere dei compromessi in fase di stesura. Ma direi che abbiamo lavorato bene, se l’obiettivo che mi prefiggevo è stato raggiunto, almeno a giudicare dalle tue parole.

Hai lavorato a Romolo in collaborazione con Guido Anselmi. Il binomio non è una costante nella narrativa italiana. Viene da pensare a Fruttero & Lucentini. Mentre negli Stati Uniti alcuni dei più avvincenti cicli si devono alle unioni che fanno la forza creativa. Che ne pensi?

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Questo romanzo, e tutto il progetto di cui fa parte, cioè una serie di libri sui sette re di Roma, è stato pensato come uno sforzo collegiale, svolto da me come motore principale (l’idea da cui tutto nasce è mia) e poi da alcuni autori molto bravi che mi hanno affiancato nel lavoro di ricerca e di discrimine tra le fonti. Dopodiché, con questi autori mi sono messo al lavoro sui singoli romanzi, partendo da Romolo con Guido Anselmi per proseguire con tutti gli altri. Si tratta quindi di uno sforzo collettivo, più che di un lavoro da binomio, e secondo me non poteva esserci modo migliore per affrontare un’impresa epica (questa sì) come quella di scrivere sette libri sui sette re di Roma.

Esaurito questo repertorio di considerazioni, chi è il Romolo del libro e che differenza c’è con quello “nozionistico” degli studi obbligatori.

Il nostro Romolo è un visionario, un ragazzo e poi un uomo convinto che l’unione faccia la forza, e che il solo modo per sopravvivere e poi governare le redini del proprio destino sia coalizzarsi, stringersi tutti insieme attorno a un ideale, a una comunità che potesse crescere e svilupparsi fino a imporsi sul resto del mondo. Nasce così l’idea di fondare una città che potesse tenere tutti a raccolta. Nasce così l’idea di fondare Roma. Una visione che in effetti di strada ne ha fatta parecchia, nei secoli a venire.

Romolo – Il primo Re esce in contemporanea con il film di Matteo Rovere. In un’epoca di iperproduzione iconica, la letteratura costituisce ancora l’indispensabile complemento evocativo dell’intelletto e della capacità di immaginazione?

Ah, quanto mi piacerebbe dare una bella risposta dotta e mirabolante, piena di metafore, citazioni e rimandi evocativi… in realtà mi viene solo da dire che tutto ciò che scrittori, registi, sceneggiatori e poeti propinano ogni giorno al pubblico non sono che frammenti di qualcosa di più grande, di unico e per il momento indistinguibile, che passo dopo passo ci porterà forse a capire come la mente umana alla fine si nutre non solo di suggestioni o di immagini forti, ma di un corollario di emozioni che possono essere dispensate in modi diversi. Il cinema lo fa in due ore di immagini serrate, la letteratura con qualche centinaio di pagine in cui si può sprofondare forse per più tempo, ma non necessariamente con un andamento più lento o frenato rispetto alla fruizione per immagini. E dunque ben vengano entrambe queste forme d’arte, soprattutto quando riescono a esprimere visioni diverse delle stesse suggestioni, come è capitato al nostro libro e al bellissimo film di Matteo Rovere.

La passione di Remo: intervista a Matteo Rovere

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