Clemente: Cirese, l’antropologo che sapeva studiare le culture subalterne e i computer

A cent’anni dalla nascita, un allievo ritrae lo studioso che elaborò uno strutturalismo personale, dialogava con l’allenatore Scopigno, si impegnò in area socialista, fu maestro di più generazioni


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28 Giugno 2021 - 16.05


Pietro Clemente, che di Alberto Mario Cirese fu uno degli allievi prediletti, ha scritto per noi questo breve ricordo del maestro in occasione dell’anniversario dei cento anni dalla sua nascita, il 19 giugno 1921 (morì a Roma il 1° settembre 2011). Pietro Clemente , autore di importanti volumi e saggi sull’antropologia e sulla demologia, ha insegnato Antropologia culturale negli atenei di Siena, Firenze e alla Sapienza di Roma. Cirese è stato uno dei maggiori antropologi del ‘900. 

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di Pietro Clemente 

Alberto Mario Cirese insegnava all’Università di Cagliari dalla fine degli anni ’50 a tutti i ’60 e oltre. Lo ho conosciuto lì da studente di filosofia che scelse la tesi in Antropologia culturale per laurearsi con lui, che sentivo il più disponibile all’ascolto ai temi che nascevano nel ’68 cagliaritano. E mi consentì di laurearmi con una tesi su Frantz Fanon, che divenne libro e mi aprì le porte dell’Università. Cirese mi chiamò a Siena nel 1973 dove lui si era trasferito. Erano anni vulcanici non solo per la politica ma anche per grandi problematiche culturali. Cirese si muoveva sulla linea della Linguistica strutturale, che applicava agli studi sui proverbi, i wellerismi, i sistemi ideologici, le fiabe trasformandoli in temi antropologici. Erano gli anni dello strutturalismo, e all’Hotel Jolly di Cagliari Cirese frequentava i colleghi accademici continentali ma anche Manlio Scopigno, allenatore del Cagliari di Gigi Riva, di Rieti come lui, che gli confidò che anche lui usava un approccio strutturalista e con questo vinse lo scudetto lo storico scudetto cagliaritano. 

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Lo spazio del proverbio “tutto il mondo è paese”
Cirese elaborò una forma assai personale di strutturalismo, che si orientava verso la logica modale, con l’uso di sistemi di segni e sequenze alfanumeriche. Fu molto critico verso Lévi Strauss e la sua modellistica che considerava sommaria e un po’ pasticciona. Per Cirese l’antropologia culturale era lo spazio del proverbio: “tutto il mondo è paese”, diversamente dal proverbio “Paese che vai usanza che trovi” che a suo avviso era il campo degli studi etnologici e sulle culture popolari italiane (demologia). La sua antropologia studiava invarianze, sosteneva l’universalismo della mente umana, contro i relativismi cognitivi. Elaborò linguaggi informatici per la descrizione e lo studio comparato delle relazioni di parentela di tutti i popoli. Ma amava, con la sua grande competenza informatica, aiutare tutti i suoi colleghi e allievi a ‘formalizzare’ processi di ricerca, analisi, documenti. 

A Siena studiò le contrade e le genealogie dei mezzadri
A Siena, dove fu anche Preside della Facoltà, si appassionò a una possibile descrizione strutturale degli antagonismi tra contrade e sperimentò anche un metodo di descrizione delle genealogie della famiglie dei contadini mezzadri. Alle sue esperienze di insegnamento a Cagliari, Siena, Roma si aggiunse quella di Città del Messico e di Colìma. Dialoghi messicani ai quali un anno partecipai e in cui Cirese discuteva soprattutto su Gramsci, il ‘suo’ tema più caro ai messicani, cui Cirese aveva dedicato un saggio importante; da Gramsci  aveva anche assunto la definizione del folklore come studio della culture delle classi subalterne (la sua bibliografia generale si trova in http://www.etesta.it/bibliografie/AMC_Scritti_2011.pdf).  Anche il suo programma GELM per lo studio informatizzato delle relazioni di parentela oggi è più in uso nel Messico che in Italia. C’è sul web delle Teche Rai una testimonianza del suo universalismo antropologico: clicca qui

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L’inchiesta sulle tradizioni orali non cantate
Lo si vede qui argomentare con il timbro vocale profondo, ma anche con la vivacità dello sguardo, e gli argomenti che portano a vedere l’antropologia come un processo di astrazione dai dati del reale finalizzata a una conoscenza profonda e universale. Tutti temi che si possono trovare anche nel suo ultimo libro Altri sé. Per un’antropologia delle invarianze (Sellerio 2010) che ripercorre tutto il processo del suo metodo analitico-parcellare, modellistico, logico. Ma il Cirese logico aveva alle spalle degli intensi studi locali su fenomeni del folklore, e tra Sardegna, Molise, Sabina studiò i canti popolari e le feste. Ebbe l’incarico dalla Discoteca di Stato (oggi Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi) di dirigere una inchiesta nazionale sulle tradizioni orali non cantate (fiabe, proverbi, ecc.) che portò a un grandissimo deposito di testi orali di tutte le regioni. Fu anche maestro di uso della letteratura come fonte antropologica, studiando i modi di rappresentare il popolo in Verga, Deledda, Serao, fu autore di libri sulla storia degli studi regionali, e autore di un manuale, Cultura egemonica e culture subalterne (1973),  giunto alla 20esima ristampa e ancora in uso.

Il sapere dei contadini socialisti e l’attività politica 
Quando, in una intervista per una rivista francese, ha raccontato la sua vicenda di studioso, ha narrato una sorta di mito di fondazione. La sua storia è dovuta a suo padre, al Musée de l’Homme di Parigi, ai contadini socialisti della Piana di Rieti. Suo padre, maestro e ispettore scolastico fu poeta in molisano, e creò col figlio la rivista La Lapa (l’ape) che tra il 1953 e il 1955 fu luogo di incontri tra poeti e antropologi. Il suo viaggio di nozze a Parigi nel gennaio  1953 fu anche un viaggio di studi, di acquisto di libri, dell’idea di tradurre le opere di Lévi Strauss, di scoperta della museografia. Fece attività politica nel PSI (il Partito socialista) e nel Psiup (il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria) a Rieti, fu consigliere comunale e provinciale e assessore, e ricordava sempre il grande sapere pratico dei contadini. Infine l’arrivo dell’uso diffuso del  computer liberò e diede forma alla sue idee di lavoro sulle invarianze, e per dare metodo sistematico a documenti, indici, repertori, linguaggi della cultura popolare. 

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La dimestichezza con il computer prima di tanti
Usava il computer in modo competente, anche da programmatore. Aveva una sorta di vocazione e di intuito. Con molta fierezza nel 1982 poté mettere in bibliografia un ‘Programma su dischetto magnetico per calcolatore Commodore CB4032’: si trattava del suo ACAREP ovvero Analisi Componenziale Automatica delle Relazioni di Parentela. Nel 1982 io, che avevo 21 anni meno di lui, non avevo mai ancora lavorato con un computer. La sua vita è raccontata anche in un  bel film di Riccardo Putti ed Eugenio Testa (per vederlo clicca qui). Il 19 giugno di quest’anno – nel giorno del suo 100° compleanno virtuale – la Società Italiana di Antropologia Culturale (Siac) lo ha ricordato con un webinar cui hanno partecipato tanti allievi e colleghi della varie università in cui ha operato, compresa la UNAM (l’Università nazionale autonoma) di Città del Messico, ma anche archeologi, filosofi della scienza, sociologi. Una specie di festa del ricordo.

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